Nella primavera del prossimo anno dovrebbe svolgersi in Italia il referendum relativo alla legalizzazione della cannabis. Una consultazione la quale promette di diventare un vero e proprio evento, alla luce della valenza di un tema che ormai da lungo tempo provoca grande interesse nell’opinione pubblica.
Oltre a segnalare ancora una volta il vero e proprio fossato che divide sempre più spesso eletti ed elettori, testimoniato del resto da un recente sondaggio commissionato da magazine BeLeaf e dalla campagna Meglio Legale all’istituto di ricerca Swg.
L’indagine è stata condotta fra il 22 e il 27 settembre tramite una rilevazione con metodo CAWI (Computer Assisted Web Interview), su un campione di 1.200 soggetti maggiorenni residenti in Italia. Il risultato non sembra ammettere dubbi: il 58% degli interpellati si è infatti pronunciato a favore della legalizzazione, con otto punti percentuali in più nelle fasce d’età tra i 18-34 anni e 35-44 anni.
In poco più di un anno sono quindi aumentati di circa 10 punti percentuali coloro che ritengono sia meglio legalizzare che reprimere, rispetto ad un analogo sondaggio condotto da Eurispes (fonte: Rapporto Italia 2020). Dovuti, secondo i promotori del referendum alla maggiore consapevolezza sul tema. Proprio per questo motivo proviamo a contribuire in tal senso, andando ad esaminare le ragioni che sembrano ispirare i due fronti.
Il quesito referendario
Il punto di partenza, non può che essere rappresentato dal quesito referendario, il quale recita testualmente: «Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309, avente ad oggetto “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”, limitatamente alle seguenti parti: Articolo 73, comma 1, limitatamente all’inciso “coltiva”; Articolo 73, comma 4, limitatamente alle parole “la reclusione da due a 6 anni e”; Articolo 75, limitatamente alle parole “a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni?».
Si tratta quindi del classico referendum abrogativo, con il quale i proponenti si propongono di depenalizzare la coltivazione delle piante di cannabis e di eliminare le sanzioni collegate, ovvero la sospensione della patente di guida e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori, attualmente previste nel caso di tutte le condotte finalizzate all’uso personale di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Referendum sulla cannabis: perché legalizzare
La legalizzazione della cannabis, secondo i proponenti della consultazione referendaria, obbedisce all’esigenza di legalizzare, non di liberalizzare. Anzi, in tal modo si andrebbe a contrastare l’assoluta libertà che è la caratteristica principale dell’attuale regime proibizionista. Chi intende rifornirsi di sostanze stupefacenti, infatti, può farlo liberamente, a qualsiasi ora del giorno o della notte, in una delle innumerevoli piazze di spaccio che sono il corollario di un fallimento conclamato.
La legalizzazione della cannabis andrebbe in particolare a togliere molta erba sotto ai piedi alla criminalità organizzata, impedendogli di reinvestire i proventi in altre attività di carattere illegale o nell’espansione verso attività legali, con la creazione di un groviglio inestricabile, in cui diventa molto complicato andare ad incidere da parte delle forze dell’ordine e della magistratura.
Le opportunità economiche prospettate dalla legalizzazione
Altro motivo della battaglia è poi legato alle opportunità di lavoro che la legalizzazione offre. Tanto da rendere possibile, in definitiva, la creazione di un indotto dalle grandi potenzialità. Secondo una ricerca della società londinese Prohibition Partners, condotta nel primo trimestre del 2019, il mercato italiano, considerando tutti i possibili impieghi tra settore medico-farmaceutico e uso ricreativo, potrebbe attestarsi in una forbice oscillante tra i 7,3 e i 30 miliardi potenziali nel giro dei prossimi dieci anni.
Un vero e proprio paradosso
Infine un altro argomento il quale sembra ormai essersi fatto largo nell’opinione pubblica, ovvero quello legato al vero e proprio paradosso creato dalla proibizione della cannabis lasciando però liberi di circolare, e provocare danni molto maggiori, alcool e tabacco. A supporto di questa tesi, ci sono peraltro studi scientifici, come quello pubblicato su Scientific Reports da Dirk Lachenmeier e Jurgen Rehm, ricercatori della Klinische Psychologie & Pshychoterapie alla Techische Universitat Dresden. All’interno del loro rapporto, gli scienziati hanno confrontato gli effetti sulla salute di sette stupefacenti (alcool, tabacco, cocaina, ecstasy, metamfetamina, eroina e marijuana), scoprendo che la marijuana è la meno dannosa dell’elenco. Tanto da risultare addirittura 114 volte meno pericolosa, in termini di mortalità, rispetto all’alcool.
Un paradosso reso ancora più evidente dal fatto che la cannabis rappresenta anche una possibile risposta a molte patologie, fungendo in particolare da potente medicinale contro il dolore. Tanto che il nostro Paese ne importa enormi quantitativi dall’estero. La domanda che ne consegue è quindi la seguente: perché non produrla direttamente e sfruttarne le potenzialità economiche?
Referendum sulla cannabis: le ragioni dei contrari
Sull’altro piatto della bilancia occorre naturalmente mettere le ragioni di coloro che si sono già dichiarati contrari alla legalizzazione della cannabis.
Tra di esse spicca il primo motivo, chiaramente ideologico: la legalizzazione della vendita di cannabis produrrebbe un aumento della domanda. In pratica, la norma favorirebbe la formazione una vera e propria cultura dello sballo. Una impostazione che si fonda su quanto avvenuto nel settore del gaming, la cui legalizzazione ha prodotto la vera e propria piaga sociale rappresentata da un vero e proprio esercito di persone affette da ludopatia, ovvero l’attitudine al gioco compulsivo che ha portato alla rovina finanziaria di un gran numero di famiglie.
Al tema della dipendenza si va poi ad aggiungere quello legato alla dannosità della cannabis. Secondo i contrari, infatti, la percentuale di THC presente nell’hashish e nella marijuana commercializzata un tempo (la forbice era tra il 5 e il 10%) era molto più contenuta rispetto a oggi (tra il 40 e il 50%).
Gli studi sulla dannosità della cannabis
A supporto delle proprie tesi, la fazione che si oppone alla legalizzazione della cannabis porta vari studi, in base ai quali l’utilizzo assiduo di THC aumenterebbe vari rischi. In particolare di:
- malattie cardiovascolari, tesi contenuta in un un documento dell’American Heart Association (AHA) il quale cita lo studio CARDIA (Coronary Risk Development in Young Adults), condotto su giovani adulti tra i 18 e i 30 anni di età:
- danni al sistema immunitario, come sostenuto da uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Milano guidati da Paola Sacerdote, pubblicato sulla rivista Journal of Leukocyte Biology;
- problemi cardiaci, come sostenuto da un recente rapporto pubblicato sul Canadian Medical Association Journal.
Sarebbe poi improprio il paragone tra cannabis e tabacco: la prima sarebbe infatti in grado di provocare alterazioni cerebrali, con conseguenze a medio e lungo termine sulla funzionalità del cervello. A confermare questa tesi è in particolare uno studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, elaborato dal Center for Brain Health dell’Università del Texas.
Inoltre provocherebbe un danno molto più incisivo a danno dei polmoni rispetto al tabacco. Ad affermarlo è in particolare il British Lung Foundation (The Impact of cannabis on our lungs”, giugno 2012), secondo il quale l’uso costante di cannabis comporta un rischio di sviluppare il tumore ai polmoni 20 volte maggiore rispetto al tabacco.
I dati scientifici, infine, non terrebbero conto dei tanti effetti collaterali in grado di destare allarme sociale. Dall’aumento degli incidenti stradali alla diminuzione di rendimento scolastico e lavorativo, sino alle ripercussioni sui rapporti interpersonali.
La legalizzazione sarebbe un aiuto per la criminalità organizzata, non un danno
Gli avversari della legalizzazione affermano inoltre che in realtà essa non sarebbe un reale danno per le organizzazioni criminali, bensì un aiuto. Andrebbe cioè a fornire uno scudo legale tale da formare una sorta di paravento. A dimostrarlo sarebbe in particolare il caso del Colorado, ove nonostante la legalizzazione solo il 60 della cannabis è oggetto di vendita legale.
L’importante è che si discuta del problema
Il referendum sulla legalizzazione della cannabis, indipendentemente da come la si pensi sul tema, costituisce l’occasione per un dibattito ampio e articolato sul tema. Nel quale sarebbe il caso di lasciare da parte le pulsioni ideologiche e mettere sul piatto della discussione gli aspetti più concreti e i dati scientifici.
Anche perché i rapporti sul problema delle tossicodipendenze elaborati dalle stesse autorità di pubblica sicurezza sono spesso oggetto di notevoli ribaltamenti in archi temporali di medio termine. Al proposito, segnaliamo ad esempio la pubblicazione nel 2019, ad opera di un gruppo di ricercatori italiani sul Journal of Economic Behaviour, di uno studio fondato su dati statunitensi. Dai quali risultava una riduzione di reati di natura patrimoniale e stupri dopo la legalizzazione della cannabis in Oregon e nello stato di Washington.
A distanza di pochi mesi, però, un nuovo rapporto pubblicata sul Journal of Criminal Justice, per il quale era stata utilizzata la stessa metodologia statistica allo stato dell’Oregon, aveva prodotto risultati contrari sulle stesse tipologie di reati in Colorado e Stato di Washington. A riprova del fatto che un tema così complesso meriterebbe uno sguardo più distaccato e, soprattutto, avulso da implicazioni ideologiche.